Esercizio all'esistenza è un libro di poesie di Giuseppe Vetromile, Edizioni Puntoacapo, 2022, con prefazione di Ivan Fedeli.

domenica 19 febbraio 2023

Una recensione di Maria Pina Ciancio su Tellus Folio

 19 Febbraio 2023

 

Fate di me soltanto un sussurro
o un silenzio d’amore inesploso

(Giuseppe Vetromile)

 

Mi accingo alla lettura dell’ultimo libro di Giuseppe Vetromile Esercizio all’esistenza uscito nel 2022 per le edizioni Puntoacapo Editrice, con prefazione di Ivan Fedeli e una significativa nota introduttiva dell’Autore stesso.

La raccolta, di 78 pagine, è divisa in sei sezioni: “Nella stanza”, “Allora la morte?”, “Questo amore”, “E poi avvisate i morti”, “Documento vuoto”, “Esercizio all’esistenza”. In essa, l’autore, con un fraseggiare ampio che si ramifica in un discorso lungo e ragionato, affronta i grandi dubbi e interrogativi dell’uomo sul senso della vita e della morte.

«Questi esercizi all’esistenza», scrive l’autore, «non sono altro che un modo di affermare l’ineluttabilità dell’arco temporale che ci è concesso qui, su questa terra, cercando di scongiurare, quasi di confutare o addirittura esorcizzare la cosa che più ci (mi) terrorizza: l’inanità, la vacuità, l’inerzia negativa, il decadimento e la disperazione di una vitalità che regredisce verso il confine ultimo del tempo e della materia».

Ciò che emerge fin da una prima lettura è che le poesie di questa silloge si collocano in un’area di sosta obbligata e appartengono a un momento di pausa e di riflessione dell’uomo-poeta Giuseppe Vetromile. Ne scaturisce una poesia dallo spaccato esistenziale febbrile, ricca di espressioni figurate, di simboli e di metafore, che si muove tra due abissi: da una parte l’infinitamente grande, l’estremo, il termine delle cose, e dall'altra l’infinitamente piccolo, il nulla.

Ed è proprio l’urgenza del dire e l’oscillazione tra questi due poli, che pone la sua poesia in costante tensione metafisica e le dà respiro, sbilanciamento e larghi movimenti.

Non sono stato pietra né diamante/ ma piccola particella incompleta/ frantumata/ dispersa nel regno terrestre/ senza uno scopo preciso/ e senza pace (p. 37).

Nella sezione “Allora la morte?” si fa dominante il pensiero alla morte come ‘soglia’. Se oggi viviamo il tempo dell’oblio della morte, con un tentativo perenne di rimuoverla, in passato c’era una modalità di pensare e vivere la morte che la innestava nell’esistenza, non la rimuoveva. C’era la necessità di prepararsi alla morte. E Giuseppe Vetromile, vive e agisce dentro questo solco, seppure con la consapevolezza che non saremo mai pienamente preparati ad accettarla ed accoglierla.

Avvertitemi quando sarà l’ora di partire/ che io possa prepararmi in tempo la borsa/ degli effetti personali e un ricambio/ di stringhe perché il cammino sarà lungo (p. 35).

Altro tema ricorrente nel libro, è quello sul senso della poesia e della scrittura “questa casa ha bisogno di te/ mia poesia” afferma infatti lo scrittore, nell’atto di creare talvolta in maniera quasi spasmodica e ossessiva. Di fatto, l’arte del poeta sta proprio nella capacità di utilizzare uno strumento così elementare e finito, come la scrittura, per esprimere qualsiasi cosa e rappresentare persino l’Infinito.

Tutta la raccolta si contestualizza metaforicamente in una “stanza”, tra gli oggetti comuni della vita quotidiana. Una stanza che diviene rifugio e limite al tempo stesso, ma pur sempre luogo in cui si conquista l’interiorità, si imparano quegli esercizi all’esistenza che dilatano il tempo. Quel tempo che è dimensione interiore personale, nutrimento per l'anima, il cuore e i sogni«L’uomo Vetromile tende a non arrendersi», scrive Ivan Fedeli nella prefazione, «pur nella consapevolezza della dispersione, della completa osmosi tra parola e atomo. L’equazione tra poesia e vita acquista credibilità allora, come antidoto al buio. È necessario conservare una traccia, una piccola eredità contro il nulla».

Si placa, dunque, la ricerca ossessiva di pensieri che possano dire-lenire questo indagare-scandagliare e si fa strada un senso di accettazione e di accoglimento, che è parte dell’esperienza umana, in cui non manca un pizzico di autoironia: “mi derido allo specchio incrinato”. Un percorso, o meglio una ricerca quella di Vetromile -di cui si sente appartenenza e condivisione- che consente di approdare con sguardo pacato e rinnovato sulle cose: “riprendere il cammino” per “darsi una possibilità di rinascita” con la consapevolezza che gran parte di me è andata via/ m’è rimasto un lumicino/ giusto per vedere/ nella penombra del cunicolo/ l’oro dei ricordi alle pareti (p. 70).

 

Maria Pina Ciancio


sabato 11 febbraio 2023

Nota critica di Irene Sabetta su "Formafluens", gennaio 2023

C’è una qualità particolare nella scrittura di Giuseppe Vetromile che, per chi lo conosce di persona, è anche un tratto distintivo della sua indole e dei suoi comportamenti: l’understatement. Questa parola, che non saprei tradurre esattamente in italiano, indica un “atteggiamento volutamente alieno da enfasi o retorica” e ancora, sempre dal Dizionario Treccani, un’ “intenzionale attenuazione della realtà nella presentazione di un fatto, che viene affermato o descritto non solo senza enfasi o esagerazione ma riducendolo a limiti molto inferiori alla sua reale importanza o gravità, in genere con il risultato di ottenerne per contrasto – suscitando un effetto di ironia – una sottolineatura ancora più efficace”.

Se questo è vero in generale per tutta la produzione poetica di Vetromile, è ancora più evidente in quest’ultimo libro in cui immediatamente il poeta si dichiara “libero di volare ma non oltre le vette dei mobili”; autoironia e avversione per l’autocompiacimento anche nei versi iniziali: “fogli di carta alla rinfusa in mezzo agli scaffali/ - poesie scritte sul retro/ naufragate sugli scogli dei concorsi”. Esercizio all’esistenza è un lungo, pacato discorso sulla pratica consueta del vivere, concepita come un allenamento costante che il poeta, nello spazio limitato ma protetto della sua “stanza”, giornalmente fa assieme alla sua compagna più prossima e fidata, la parola poetica, spesso personificata: “questa casa ha bisogno di te/ mia poesia”. Si tratta, appunto, non di un discorso sulla poesia ma, piuttosto, di una conversazione con la poesia riguardo alla sua materia più pregnante: il senso della vita. Nell’introduzione alla silloge, l’autore fornisce al lettore indicazioni chiare su quale sia il suo intento poetico e ci guida nella lettura. Il qui e ora costituiscono il punto di partenza per il “training” quotidiano che ha l’obiettivo di scongiurare il pericolo più grande per la nostra integrità individuale e per l’intera civiltà umana: l’inanità, la rinuncia a dare un senso alla vita, ciò che il poeta chiama “l’inerzia negativa”. Dichiarando la sua incapacità di capire fino in fondo il mistero “di questo mondo/ di questo mentre/ di questa stanza”, e assillato come tutti dal tempo che fugge, il poeta fa leva sui valori dell’umiltà e dell’onestà intellettuale e si appella alla forza salvifica della poesia come unica via d’uscita dall’amarezza di un mondo angusto e meschino. La poesia è la manna dal cielo: “quella parola che ti precipita per terra/ e che ti tiene unito al canto della luna”. E’ la vera medicina, senza “effetti collaterali”, che ridà vigore ai nostri sogni e risana le menti. Sono molti i riferimenti, nel libro, all’isolamento e allo stato psichico di desolata frustrazione indotti dalla pandemia, durante la quale l’identità è stata messa a dura prova: “qui tutto è ormai deturpato dalla nostra/ malattia” e “stamattina ho smesso di essere io”. La tentazione di “chiudere quellacasa” e lasciare il “documento vuoto”, rinunciando all’esercizio di se stessi e della finzione poetica tiene sospesa la volontà di dire (“salva/ non salvare/ annulla”) ma, infine, la ragione prevale “per cui la vita è sempre dentro le ombre” e l’irrinunciabile grazia della poesia prende forma nel libro che è sotto i nostri occhi e nelle nostre mani.

Nota critica di Irene Sabetta su “Formafluens”, International Literary Magazine, Nuova Serie, ANNO V – N.1 gennaio/aprile 2023 (Direttrice Tiziana Colusso) 

Antonio Simone legge un brano del libro: "Ho provato ad ascoltarti"

La presentazione in diretta video con Puntoacapo - 29/3/22