Note su Esercizio
all’esistenza di G. Vetromile
Gennaro
Maria Guaccio
Il tema di fondo della poesia di Giuseppe Vetromile
è una visione incerta della vita che segue sicuramente al crollo di ideali
positivistici, sopraffatto dagli inganni (p.70), onde tutto appare senza
senso, vuoto di significato o, per lo meno, agnostico. Che significa esistere?
Egli si chiede. È un banale oscillare tra la nascita e la morte? Come asseriva
Pascal e, semmai, aggiunge Vetromile, “misurato dal tempo”. Ma questa definizione
poco soddisfa: cosa possiamo farcene? Essa è una constatazione, non una
ragione. È come dire che il calore è quella cosa che entra ed esce [dai
corpi] e si misura col calorimetro, come il nostro poeta scrive nella
prefazione alla raccolta Esercizio all’esistenza. Anche questa
definizione, pur non essendo falsa, nulla dice circa la natura del calore. Ma
non è il fatto fenomenologico che interessi le considerazioni del nostro poeta:
egli lo supera nella direzione dell’essere delle cose, come se il suo percorso
fosse, almeno in parte, dalla fenomenologia di Husserl all’ontologia di
Heidegger, dove l’implicazione del tempo diventa sostanziale ma,
cionondimeno, strumento non agibile. Nell’ultima sua raccolta, Il lato basso
del quadrato, Vetromile aveva visto il mondo, lo spazio esistenziale, come
un confinamento in un gigantesco quadrato del quale i viventi occupano il lato
basso: quello poggiato a terra. Sì che, sollevando lo sguardo verso l’alto, si
scorgerebbe, o si potrebbe scorgere, forse, un universo altro irraggiungibile.
Potrebbe ancor questo ricordare il Mito della caverna di Platone, ma non aperto
alla stessa speranza, conscio, invece, di non poter risalire le pareti laterali
del quadrato per sbucare lassù, in alto. Ora, in questa nuova raccolta, la
dimensione nella quale il nostro poeta si colloca è la “stanza” di studio: la
scrivania sulla quale ci sono fogli sparsi e “poesiole” che hanno rincorso
l’illusione di un Concorso e che, però, anche qui con un forse, chissà potranno
rappresentare una “traccia” del passaggio dell’autore in questa stanza, in questa
vita. In altre parole, come per Ungaretti, ad esempio, nemmeno la poesia riesce
ad essere sicuramente lo strumento per conoscere la realtà e soddisfare così il
senso dell’esistenza. Ecco: insoddisfatti del vivere, riprendete la vostra
vana corsa verso/l’orizzonte di nulla (p.67), questo è il punto.
Insoddisfatti di fare e disfare versi e congetture: mi diletto a raccogliere
sogni, egli scrive. E tutto questo è legato al semplice fatto del nascere e
accorgersi di esserci, al dasein di Heidegger, alla coscienza desolata
di Sartre e alla frattura dolorosa con la vita del suo personaggio, Antoine
Roquentin, che da tre anni vive in una camera d'albergo, nel romanzo La
nausea, con una stretta similitudine al nostro poeta nella sua “stanza” di
studio. Tuttavia, qualche speranza di senso viene intravista sia nell’arte
poetica: dirò vocali senza suono e borbottii vaghi (p.27), sia nella
memoria presso i posteri: conservate di me qualcosa (p.39) e ricordati
di me, mia cara (p.72), sia in un concetto-parola, definito “enorme”, ed è
l’amore: questo amore bianco (p.36), un amore inventato per far luce (p.38),
anche se l’amore è un rammendo sulla pelle scucita (p-45).
Quest’ultimo lavoro di Vetromile è un
libro di versi intenso, una splendida opera che, da una prospettiva molto
umana, porta lo sguardo sull’avvilente condizione dell'uomo. Ogni pagina, ogni
verso è una presa di coscienza su una verità che non si può intendere e una
profonda riflessione sull'uomo di oggi.